Punto.
C’è un momento nella vita di ogni persona in cui è necessario mettere un punto.
Un punto ai troppi viaggi, un punto alla stupidità. Un punto ai sogni.
Con Erika, #35punto era il titolo che, durante gli anni di Università, ha categorizzato le nostre scelte di vita, quando ancora non sapevamo dare un nome a quello che poi i social avrebbero condiviso come #hashtag.
35. (Trentacinquepunto – se fosse un assegno) era il nostro personalissimo modo di decodificare le scelte“matte” da quelle no; l’elenco delle cose da fare prima dei 35, le urgenze da assecondare di una vita incentrata sull’io.
#35. Era una scelta sbagliata.
Perchè, quando hai vent’anni, il diritto di sbagliare ce l’hai appiccicato addosso, tanto quanto la voglia di vivere.
Però oggi di anni ne ho 46. (Erika pure, si intende.)
C’è di mezzo un’azienda, una figlia, un marito, un omicidio truculento.
C’è una scelta di felicità e una di realizzazione.
C’è di messo il dolore, la morte e tanta gioia.
E non tutto in quest’ordine.
Credo che #35 sia stato il momento per dare concretezza alle illusioni:
dare speranza ai nostri sogni, comprendere gli errori, costruire la propria identità.
Facile, boh.
Scontato? NO!
Dopo i 35 ogni storia irrisolta ha il diritto di conoscere il proprio finale, ogni sogno sospeso di essere abbandonato in un cassetto, piegato alla Marie Kondo oppure no, a seconda del proprio – personalissimo – senso dell’armadio.
Di certo ad ogni sogno va dato il suo nome.
Se fossi in una puntata della Casa di Carta avrei: Battambang, Tromsø, Fiorangeles e Glasgow.
Per ora ho via Macello.
E’ solo una via. Ma è lunga tanto da contenere 35 punti tutti insieme.